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La scuola, i nostri bambini, noi.

Quando finisce una missione sei preda di quel misto di dolore, commozione e nostalgia che ogni volta ti fa sentire smarrito e insignificante. Tornare in Italia è sempre stato sconfortante. Combatti tra il senso di colpa e la malinconia, da un lato ti senti invincibile (ora, niente ti fa paura) e dall’ altro un pezzo di merda (come puoi accettare i privilegi di una vita ordinaria?). Come ogni zona di confine, si raccolgono a Kilis tutte le contraddizioni dell’umanità che crea, trasforma e, troppo spesso, distrugge.

Noi, qui, abbiamo provato a costruire.

Siamo arrivati sei anni fa e abbiamo cominciato con estrema modestia a seminare piccoli gesti di bellezza, distribuendo aiuti come potevamo. Abiti e giocattoli, carbone e buoni spesa. Poi abbiamo aggiunto le lezioni di inglese, quelle per i bambini disabili, supportando anche le donne che sono diventate le nostre maestre. Abbiamo avuto in missione con noi medici meravigliosi che hanno visitato i bambini malati.

Ne abbiamo fatti operare alcuni. Abbiamo vissuto l’esperienza devastante del terremoto che non ha fatto distinzioni, non ha chiesto passaporti e permessi di soggiorno. Ha colpito sia i turchi che i siriani, e noi li abbiamo aiutati con la stessa neutralità, distribuendo cibo, coperte, tende, medicine. Potevamo uscirne a pezzi, come questi due popoli annichiliti dalla paura. Invece siamo ripartiti ancora più motivati, per arrivare, oggi, a realizzare il sogno più grande di Joy, coltivato fin dalla sua fondazione: aprire una scuola!

Quando si lascia Kilis ci si sente stringere il cuore, ma stavolta è diverso, non c’è spazio per la desolazione e i sensi di colpa. Siamo pieni di gioia, orgoglio e motivazione.

Torniamo a casa sapendo di avere sudato, corso, faticato, pianto e, a volte, perso, ma alla fine abbiamo spalancato le porte del futuro per i bambini e i ragazzi di Joy. Grazie a tutti i membri della nostra associazione, ai donatori, ai partner, ma soprattutto grazie a chi, laggiù, si è fatto carico di ogni compito, pure di quelli più rognosi.